La caduta del Barcellona Calcio dal piedistallo di top squadra dominante e società ricca di virtù a cui ambire spasmodicamente non è roba di ieri. Dei 4 gol presi agli ottavi di Champions in casa per mano del PSG di Mbappé. Nemmeno degli 8 gol presi dal Bayern Monaco l’anno scorso. Ma nemmeno i 4 dal Liverpool in rimonta nel 2019 o i 3 in rimonta dalla Roma di Manolas nel 2018. O delle 3 pere prese dalla Juventus nel 2017.
Ma come, il 2017 è l’anno dell’incredibile remuntada ai danni del PSG? Fumo negli occhi. Canto del cigno. Suarez, Iniesta, Messi, Neymar, Neymar, Sergi Roberto.
Anche nel 2016 non andò bene, ma la caduta del Barcellona è iniziata l’anno prima. Nel 2015. Quando la Champions League l’ha vinta. Olympiastadion di Berlino, 3-1 alla Juve. Rakitic, Suarez, Neymar.
E la caduta si vede bene, nella foto qui sotto.
La vedi quella fascia di capitano al braccio di Xavi mentre alza la Coppa?
Xavi non era in formazione quel giorno. Il 2015 è il suo ultimo anno, a fine stagione andrà a svernare in Qatar. Dopo oltre 20 anni in stanze blaugrana da guida silenziosa e imprescindibile. I titolari sono altri. E giocano pure bene. Il suo sostituto naturale, Rakitic, segna il primo gol. Ma al 33esimo della ripresa, con la Coppa quasi in saccoccia, il Capitano Andres Iniesta chiede il cambio.
“Volevo che Xavi avesse questo momento, prima di salutare. Glielo dovevo”.
Non capita tutti i giorni di alzare una Champions League da Capitano e perfino a un campione come Don Andres, infatti, non capiterà più. Però il Cavaliere Pallido, gemello di Xavi dai tempi della Masia, capisce che quel momento, quell’addio, non sarà gratuito. Per il club, per la città, per il calcio, per lui stesso.
Da quel giorno il Barça, che solo dodici mesi prima aveva già dovuto assorbire il ritiro del condottiero Carles Pujol, uno che in campo non fa magia ma che in spogliatoio senti molto, dopo diciassette anni di onorato sevizio, non sarà più lo stesso. Quella macchina quasi perfetta di gioco, felicità e trofei.
Una realtà ben chiara a chiunque conosca un po’ il calcio, segua la sua storia, le sue dinamiche, i suoi cicli. Ma evidentemente non a Griezmann.
Antoine Griezmann nel 2018 è Campione del Mondo. In Russia ha guidato la Francia con 4 reti, di cui una in Finale contro la Croazia. È candidato al Pallone d’oro (che gli verrà scippato da Modric, campanello d’allarme n°1) e stella dell’Atletico Madrid del Cholo Simeone con cui ha appena vinto l’Europa League. Con doppietta in finale. Ma vuole a tutti i costi andare a giocare al Barcellona.
Trova un accordo con i catalani. Che salta per sommossa popolare e ripicca del presidente dell’Atletico. Così si va a scadenza e, con un anno di ritardo, le petit diable può finalmente abbracciare la sua nuova squadra: il Barcellona di Leo Messi. Dico di Leo Messi perché dubito che tutto questo casino il buon Antoine l’abbia fatto per soldi. Qualunque altra big europea gli avrebbe pareggiato l’offerto economica. Ma lui vuole andare proprio al Barcellona, assolutamente. Un Barcellona in caduta libera, sì, ma non è qui che finisce il dramma decisionale del campione francese. Infatti Antoine Grizmann ha puntato i piedi per andare a giocare nell’unica squadra al Mondo dove non avrebbe trovato posto in campo.
“Ma come? Je suis Champion du Monde!”
Durante la prima partita del Mondiale in Russia, contro la non temibilissima Australia, l’allenatore della Francia Didier Deschamps, per cercare di far giocare insieme tutte le sue stelle, in attacco schiera un tridente leggero composto dall’astro nascente Mbappé, il sopravvalutato Dembelé e il nostro Griezmann. Però per poter trovare la quadra Griezmann è costretto a giostrare da centravanti. Griezmann non è un centravanti (Perché dei 3 davanti mi devo spostare io? Campanello d’allarme n°2). La squadra non gira. All’intervallo Deschamps cambia. Fuori il fumoso Dembelè, dentro l’omone Olivier Giroud. Un centravanti vero. Magari non spettacolare, ma vero. Griezmann torna a calpestare le sue zolle preferite, quelle da seconda punta, segna il gol dell’uno a zero, la Francia vince e non si ferma più. Lo schema con Giroud prima punta e Grizmann dietro, con Mbappé, non verrà mai più messo in discussione e i galletti andranno a vincere, comodamente, il loro secondo Campionato del Mondo.
Con Griezmann. La stella.
Il Barcellona gioca con il 433. Lo sanno tutti. È così da 200 anni. Nel 433 posto per Griezmann non c’è. Non può fare il centravanti. L’abbiamo visto. Non può giocare largo. Non ha quel passo. Ma se proprio proprio deve spostarsi in fascia allora meglio destra che sinistra. Così da rientrare sul piede forte e provare a determinare tra le linee. Ma al Barcellona di mancini che amano partire da destra ce n’è già uno: Leo Messi. Il più grande di tutti. E come dico sempre quando spiego la vita attraverso il Poker “tu puoi essere anche il decimo giocatore più forte al Mondo, ma se ti siedi al tavolo con i primi 9….”. Ecco, Griezmann avrebbe dovuto fare un po’ di Table Selection, topic base del Poker e della Teoria delle Decisioni. Per non finire intristito sulla fascia sinistra del monolitico 433 del Barcellona a fare, male, il lavoro che potrebbe fare un Afellay qualsiasi.
Nell’Atletico di Madrid l’allenatore Simeone, che non è scemo, ti ha sempre schierato dietro una punta centrale forte fisicamente: Diego Costa, Morata, Torres, Gameiro, Mandžukić.
Oppure avrebbe dovuto assumere un Recruiter un po’ più sgamato.
Perché ok lo stipendio, ma andare a lavorare nell’unico posto dove non ti fanno lavorare non è molto lungimirante.
Senza contare il deprezzamento dell’asset.
Oggi il Campione del Mondo Antoine Griezmann gioca, poco, nel Barcellona più brutto degli ultimi 15 anni. E l’ha deciso lui. Chissà perché.
E a te, è mai capitato di sbagliare scelta e posto di lavoro?
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Copertina Jobbermag #9 | Vol.2 | Febbraio 2021