Quando il capo è bravo, ma pensa di essere più importante del suo team.
Un'altra lezione da Pep Guardiola
Hai presente quando va tutto bene? Fai il lavoro che ti piace, sei su progetti interessanti, coi tuoi colleghi ti trovi alla grande. Lavorate, vi aiutate, siete un bel team. Il Capo poi. È un genio visionario, ha tanto da insegnarti e ti insegna. Tu cresci, impari, migliori. Raggiungi obiettivi che non pensavi. Stai proprio bene, sei felice.
Succede poi che i risultati che stai ottenendo ti vengono pure riconosciuti. A te, a te come parte del tuo team. Che bel team. Il mercato, la comunità, i competitor addirittura, vi vedono come un modello da seguire. Il vostro stile, il vostro impatto, è incredibilmente riconoscibile. Bravi tutti.
Siete così una bella realtà che la gente comincia a parlare di voi e non di chi vi abbia costruito, scelto, insegnato. E qui accade l’impensabile. Il genio visionario, visiona un po’ troppo. Vuole riportare l’attenzione su di sé. Vuole vincerla lui.
Smonta il giocattolo e lo rimonta. Per farsi vedere. Per far vedere che lui può cambiare le cose come vuole, quando vuole. Che è lui il team.
Non c’è alcun motivo. State andando forte. Non c’è niente che possa impensierirvi. Perché allora? Specie nel momento più importante dell’anno. Perché togliere al proprio team le sue certezze? Perché metterli in condizione di fare male? O di fare peggio. Perché?
Pep Guardiola ci aveva già provato. Una volta schierò il Barcellona in 11 senza nemmeno un difensore di ruolo. Voleva portare all’estremo la sua idea di calcio. Ma il troppo stroppia. O storpia. Nessuno l’ha mai capito. Sta di fatto che ciò che era perfetto, con poco, è diventato nullo. Pep Guardiola ci aveva già provato anche a Manchester. Inventarsela troppo sul più bello. Ed era stato punito.
Quest’anno però il suo City sembrava davvero una macchina perfetta. Oltre alla consueta qualità in palleggio e alla facilità realizzativa (oltre 100 gol in stagione), il buon Pep da Santpedor in Catalunya, che non è scemo, ha capito che va bene fare gol, ma ogni tanto bisogna anche non prenderne, e così ha registrato la difesa pure. Ruben Dias è forse uno dei più forti difensori della nuova generazione, Stones è grande grosso e modesto ma comunque sempre meglio di un Fernandinho adattato (anche perché Fernandinho, il capitano, è bene che stia nel suo, a centrocampo, ma qui ci arrivamo tra un attimo), Cancelo è un’ira diddio e l’abbiamo disciplinato e Walker fa il suo con diligenza. Aveva pochi difetti il City di Guardiola, ma Guardiola ha pensato giustamente di correggerli. Campionato vinto in carrozza con 15 giornate di anticipo e finale di Champions League. La prima per il team, la prima dopo gli anni di Barcellona per il Capo. Cosa può andare storto?
Alla mattina mio padre mi chiama per sapere la formazione con cui scenderà in campo il Manchester City nella finale 2021 della Champions League che si sarebbe disputata di lì a poche ore contro il Chelsea del mai troppo considerato Thomas Tuchel. Ha un paio di stipendi sulla vittoria dei Citizen (cosa penso del betting l’ho riproposto di recente e se vuoi approfondire trovi l’articolo “Ho 4000€ sul Bayern lascio o raddoppio?”) e leggendogliela lo tranquillizzo: “È la solita, sembrano non esserci sorprese. Probabilmente ha imparato la lezione”.
Il Capo ha capito che il team lavora bene così, con le sue certezze, le sue competenze, i suoi tempi, i suoi ritmi, le sue convinzioni. Perché cambiarli mettendoli nelle condizioni di fare male? Bravo Capo. Stai tranquillo, rilassati e goditi lo spettacolo. Sappiamo cosa fare, ci hai insegnato bene e viaggiamo in autonomia.
Ma alle 20:55, quando le squadre scendono in campo è tutto chiaro. La formazione è cambiata. Sorprende. Il Capo non ci sta. Più che il risultato vuole dimostrare una volta di più che è lui il faber fortunae del team. Non viceversa. Lui fa, lui disfa, lui decide. Il Team esegue. Non ha emozioni, non ha ruolo. Già il ruolo.
Alle 21:04 scrivo al mio Avvocato belga (ormai chi legge Jobbermag lo riconosce come sparring partner di ogni commento calcistico) perché è tutto chiaro. Guarda la foto sotto. Trascrivo:
Guardiola ha voluto inventarsela anche stavolta. Vuole vincerla lui. Cioè Gundogan viene dalla miglior stagione della vita da interno di centrocampo con 17 gol e 5 assist, e viene schierato improvvisamente vertice basso. De Bruyne, miglior centrocampista del mondo, viene schierato centravanti senza spazio davanti impedendogli così di sprigionare la sua corsa e fantasia. Foden, nuova sensazione inglese, dopo una stagione a navigare in attacco tra sinistra e centro, viene abbassato in mediana. Riesumato Sterling, che non vede il campo da Pasquetta 2020. Il tutto lasciando fuori sia Rodri che Fernandinho, il Capitano, che hanno meno classe, ma danno equilibrio. Per poter dimostrare che non ce n’è bisogno di fronte alla qualità. Vuole vincerla lui. Speriamo non finisca come le ultime due stagioni.
Vuole vincerla lui. E invece l’ha persa, lui.
Perché a volte anche persone intelligenti, ottimi leader, buoni maestri, grandi capi, hanno bisogno di mettersi in mostra oltre i risultati che col team stanno ottenendo? Perché smontare un meccanismo perfetto? Per dimostrare cosa?
Le competenze hanno valore se sono messe nel contesto di svilupparsi alla massima potenza. Se le sposti, se le inquini, se le saboti, anche poco, il ritorno può essere devastante.
Quante volte il tuo Capo, anche bravo, ha ecceduto nel pensiero e ha fatto il male tuo, del suo team, e suo? Raccontalo a Jobbermag.
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Copertina Jobbermag #15 | Vol.2 | Maggio 2021